4 dicembre 2024

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Libertà di ricerca e diritto alla conoscenza: variazioni sul tema

Con Romano Scozzafava

E’ noto che le popolazioni primitive vedevano il sole come una fonte
magica di vita, di luce, di calore, e siccome non riuscivano a spiegarsi che
cosa fosse, la loro reazione fu quella di considerarlo una divinità. Ma
questa interpretazione fu abbandonata quando nel corso dei secoli la
ricerca scientifica, tramite l’osservazione ed il ragionamento, giunse a
classificare il sole come una stella e a dimostrare che la sua luce e il suo
calore erano frutto di reazioni nucleari. Situazioni simili sono quelle che si
sono presentate per molti altri eventi naturali, come terremoti, vulcani,
epidemie, ecc. Un ruolo fondamentale nel panorama scientifico
contemporaneo lo svolgono anche le scienze della vita, che a loro volta
coinvolgono molti altri studi (anche giuridici e politici) per proporre validi
modelli della conoscenza e del pensiero.
Nel passato le religioni costituivano uno dei principali ostacoli nei
confronti della ricerca scientifica (basterà ricordare la vicenda di Ipazia
d’Alessandria, il processo a Galileo, …), ma anche oggi le minacce alla
libertà della scienza vengono dal fronte religioso (e non solo), che contesta
alla scienza, per esempio, il fatto di potersi porre qualsiasi domanda,
comprese quelle concernenti la possibilità di modificare i processi
cosiddetti “naturali”.
Ma non tutto ciò che è naturale è anche utile o auspicabile o
“razionale”: un “ente” agisce in modo razionale se, in base alle
informazioni che possiede, cerca di ottimizzare il proprio tornaconto
(questa è, in forma semplificata e discorsiva, la definizione utilizzata nella
teoria dei giochi, cioè quella disciplina matematica che studia e règola le
interazioni strategiche fra due “agenti”). Per esempio, la contraccezione
non è un processo naturale, ma dal punto di vista di chi la pratica è un
comportamento naturale in quanto razionale.
Gli ostacoli alla libera ricerca scientifica oggi sono dovuti anche alla
confusione fra la ricerca e le applicazioni che ne derivano, sulle quali
possono essere sollevate questioni di ordine etico. Il timore che certe
applicazioni possano modificare certi processi naturali (o presunti tali) non
deve portare a concludere che le conoscenze scientifiche vadano frenate o
marginalizzate, perché è impossibile parlare di scienza senza tener conto
delle sue finalità conoscitive.
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Come afferma Aristotele, “tutti gli esseri umani aspirano per natura
al sapere”, e quindi il vero ruolo della ricerca scientifica è quello di
imparare, diffondere, imparare ancora (e se poi ci sono anche dei vantaggi
pratici, tanto meglio). In altre parole, la componente applicativa non deve
prendere il sopravvento sulla parte puramente speculativa, che deve essere
neutrale rispetto alla sfera dei (cosiddetti) “valori”. Anche perché è
difficile definire in modo univoco e condiviso il concetto di “valore”.
Per fare un esempio, consideriamo la vita. E’ un valore? Un metodo
per valutare se una vita sia o meno un valore potrebbe essere quello di
pensare alla sua soppressione. Per esempio, uno spermatozoo è
tecnicamente vivo, ma la sua soppressione non provoca allarme sociale o
indignazione, un ragno è superiore ad uno spermatozoo (avendo un
minimo di reattività e persino di socialità), ma chi se ne importa se lo
uccidiamo? E questo vale per molti altri esseri viventi, dal topo alla
zanzara, dallo scarafaggio al serpente. Viceversa, se uccidessimo un
gattino, un cerbiatto, una foca, un panda, un uccellino, provocheremmo
una riprovazione molto simile a quella innescata dall’uccisione di un
essere umano. Ma addirittura, anche uccidendo un uomo, la riprovazione
sociale non sarebbe omogenea, ma graduata, essendo minima se la vittima
è un delinquente abituale o, in genere, un “cattivo”, massima se si tratta di
bambini, anziani, donne … Siamo quindi al di fuori di ogni possibile
schema “logico”.
Tutto ciò premesso, la scienza si presenta come un’impresa aperta,
soggetta a continue revisioni, caratterizzata dal non ammettere verità
assolute. Ma anche se la scienza procede attraverso revisioni e
confutazioni, ciò non significa affatto negare il valore della conoscenza
scientifica. Difficoltà insormontabili sorgerebbero infatti ove si
pretendesse di raggiungere una (presunta) “verità assoluta”, mentre la
scienza ci insegna che occorre accettare il valore probabilistico della
verità, con diversi gradi di certezza. Questa verità provvisoria può essere
perfezionata attraverso la sperimentazione, andando oltre la prima
spiegazione di questo o quel fenomeno e cercando quella non
necessariamente più ragionevole, ma quella più probabile.
Anche Max Born (Filosofia naturale della casualità e del caso,
Torino, Boringhieri, 1962) ricorda che non esistono osservazioni
scientifiche di attendibilità assoluta: “La storia della scienza rivela una
forte tendenza a dimenticare questo fatto. Quando una teoria scientifica è
saldamente stabilita e confermata, essa muta di carattere ed entra a far
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parte del sostrato metafisico della sua epoca, trasformando così la dottrina
in un dogma. La verità è invece che nessuna dottrina scientifica possiede
un valore che vada oltre quello probabilistico, ed essa è sempre suscettibile
di venire modificata alla luce di nuove esperienze”.
Per gli scienziati è quindi obbligatorio coltivare il dubbio, perché
hanno ben presente che con la ricerca si acquisisce un tipo di conoscenza
in continuo aumento e che ogni progresso pone più problemi di quanti non
ne risolva.
Questo apparente paradosso può essere compreso ricorrendo alla
metafora della sfera della conoscenza, ossia adottando un tipo di
rappresentazione in cui tutte le cose che ognuno conosce si immaginano
contenute all’interno di una sfera e quelle ancora da studiare o da capire
all’esterno. In questa rappresentazione il dubbio (che è il confine fra le
cose note e quelle ancora da studiare) si còlloca ovviamente sulla
superficie della sfera. Aumentando le conoscenze aumenta il volume della
sfera e quindi anche la sua superficie, cioè i dubbi. Pertanto non si possono
avere troppi dubbi se si sanno poche cose. In altre parole, considerando il
caso limite di una persona molto ignorante la cui sfera della conoscenza si
riduca ad un punto, questa persona di solito non ha dubbi perché la sua
sfera “limite” non possiede superficie! Insomma, il dubbio è un fatto
intrinseco e inevitabile, legato alla conoscenza.
La produzione e la diffusione del sapere si fondano anche,
necessariamente, sul principio della libertà assoluta e totale della ricerca
rispetto ai poteri politici, alle fedi religiose, agli interessi economici. Il
mondo può progredire solo se la scienza può liberamente studiare i
fenomeni che ci circondano, lasciando a ciascuno la possibilità di farsi
artefice in prima persona del proprio destino con la propria intelligenza e
le proprie capacità. Ma la libertà non costituisce che l’aspetto esteriore e
formale di quella che è l’esigenza vera ed effettiva: l’apertura, ossia quella
disposizione generale alla comprensione di cosa siano e come vivano e si
sviluppino il pensiero e la scienza, ed alla compartecipazione al travaglio
con cui incessantemente si evolvono.
Questo diritto alla libertà di ricerca è a sua volta strettamente
connesso al diritto alla libertà di espressione: che ruolo potrebbe avere la
conoscenza se non potesse essere comunicata liberamente, in modo che
possa a sua volta, attraverso la comunicazione e la diffusione, produrre
ulteriori conoscenze?
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D’altra parte si tratta di due diritti espressamente enunciati anche
nella Costituzione italiana, all’art.21: “Tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo
di diffusione” e all’art.33: “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento”.
In conclusione, i requisiti minimi necessari per la libertà di ricerca
sono la curiosità e lo spirito critico, perché i nemici della ricerca libera
sono le certezze assolute, la mancanza del dubbio, il dogma. Gli stessi
nemici della libertà di espressione.


Romano Scozzafava è componente del Consiglio Generale dell’Associazione Luca Coscioni. Laureato in
Matematica a Roma nel 1961, ha svolto per sei anni attività come matematico applicato presso i
Laboratori CNEN (oggi ENEA) di Frascati. Dal 1967 ha insegnato e svolto ricerca presso varie
Università in Italia (Perugia, Firenze, Lecce, Ancona, L’Aquila, Roma), in Gran Bretagna, in
Olanda, negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda, in Somalia. Già professore ordinario di “Calcolo
delle probabilità” presso l’Università “La Sapienza” di Roma, é stato anche Direttore del
Dipartimento di “Metodi e Modelli Matematici per le Scienze Applicate” e Coordinatore del
Dottorato di Ricerca in “Modelli e Metodi Matematici per la Tecnologia e la Società”.
http://www.romscozz.it/
Wikipedia: List of mathematical probabilists